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Gobetti pubblicò nel 1925 gli Scritti teatrali dell'abruzzese Achille Ricciardi due anni dopo la sua prematura scomparsa, con una prefazione di Anton Giulio Bragaglia. In essi c'era una radicale messa in questione del principio logocentrico, che aveva informato il teatro fin dagli inizi in Grecia, con il prevalere della parola sulle altre componenti e possibilità dell'azione scenica. Le regie teatrali di Ricciardi si avvalevano di complessi giochi di luce e di una ricchissima partitura di effetti cromatici (fu teorico e sperimentatore del Teatro del Colore). Bragaglia, anziché al futurismo, lo apparentava «alle scuole russo-tedesche dalle quali è derivato l'espressionismo». Il suo percorso era indirizzato verso esiti di assoluta astrazione, con una posizione di avanguardia eccezionale nel panorama italiano del tempo.